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Risposta a Ph. Stadter, recensione a Lexicon historiographicum graecum et latinum (LHG&L), fasc. 2, αλ-αφ, HR 3/4/2009

Andrea Zambrini (Università delll Tuscia, Viterbo)

Apodexis: quale "esposizione"?

Il 3 Aprile 2009 Philip Stadter ha pubblicato in questo sito, Historiarum Reliquiae, una recensione al secondo fascicolo del    Lexicon   Historiographicum Graecum et Latinum, αλ-αφ, pubblicato a Pisa nel 2007, in cui avanza delle obiezioni e delle riserve sulla mia interpretazione del termine apodeixis, voce da me redatta nel fascicolo or ora ricordato. Vorrei replicare tanto alle critiche dedicate al modo di intendere e tradurre apodeixis quanto alle implicazioni che concernono il problema della natura della storiografia antica.
       Stadter osserva, a proposito della mia traduzione di apodexis nel proemio erodoteo (“esposizione argomentata”; uso la forma ionica tutte le volte che riferisco il termine a Erodoto), che non ho tenuto conto del significato del successivo participio passivo aoristo (apodechthenta), accordato con erga e chiaramente imparentato con apodexis, dato che ambedue derivano dalla stessa radice
dek-. Siccome per Stadter nella forma verbale è centrale “the sense of performance” ne deriva che anche in apodexis il “senso della performance” debba essere centrale e che in apodechthenta è difficilmente leggibile il significato “argomentato”. Da qui l’ulteriore osservazione che io sottovaluto lo stretto nesso performance/dimostrazione implicato in apodexis.
       Innanzi tutto: non credo che valga l’osservazione per cui il significato di apodechthenta debba riversarsi automaticamente, senza ulteriori slittamenti o modificazioni, su apodexis. A livello generale, è chiaro che non tutti i significati opzionali espressi dalla “radice” di base si distribuiscono ugualmente tra forme verbali e nominali. Ne consegue che apodexis, nel suo significato tecnico può avere una valenza specifica che viene sollecitata e ulteriormente approfondita, nonché orientata, dall’accostamento con historie (tale accostamento è centrale e non va né sottovalutato né passato sotto silenzio). Questo significato non corrisponde con esattezza a nessuno dei varii significati di apodeiknumi, anche se, evidentemente, rimane l’apparentamento di base, ed è normale che sia così: tanto per fare un esempio, sarebbe assurdo se volessimo dare a una qualsiasi occorrenza di poiein la pregnanza di significato tecnico espressa da poiema. Quello di apodeixis è un significato che si forma in ambito filosofico e medico e mi sembra che i rimandi letterari da me citati lo testimonino pianamente. Vorrei inoltre osservare che, come dico all’inizio della voce, il preverbio apo- contribuisce a precisarne il significato, aggiungendovi il riferimento a una dimensione contestuale supplementare. Questa dimensione è l’historie, strettamente legata all’apodexis in un senso non tanto “performativo” quanto “espositivo/dimostrativo”: l’apodexis è resa possibile dalla historie e, a sua volta, l’apodexis rende accessibile l’historie al pubblico. L’evoluzione stessa del termine dimostra senza equivoci l’appartenenza di apodeixis a un ambito semantico legato, tecnicamente, a ciò che è “dimostrazione”, espressione articolata del proprio pensiero, e nella fattispecie sostegno argomentativo a un discorso storico. E del resto  il significato lato di “mostrare”, “dimostrare” è evidente in alcuni contesti in cui apodeiknumi (si veda per esempio, sempre in Erodoto, 2.142) assume un valore assai prossimo a quello di apodexis del proemio; che tuttavia acquisisce una pregnanza di significato originale dato il contesto e il già ricordato legame con historie. Non c’è bisogno di ricordare ancora Polibio, il quale testimonia in maniera limpida questo significato di apodeixis e di apodeiktikos. Apodeixis finirà addirittura per designare tout court “prova”, come ricordato nel mio lavoro, e questo lo si deve alla sua “specializzazione tecnica” acquisita per tempo.
       E vengo ad apodechthenta, anticipando che non ci vedo affatto un’implicazione decisiva “performativa” e che non mi sembra influire, modificandolo, sul significato di apodexis. Precisazione preventiva: immagino che la nozione di performance sentita da Stadter in apodechthenta rimandi per qualche via alla performance cara agli oralisti, cioè al modo di comunicazione dell’opera erodotea tramite recitazione. Fatta questa precisazione, per apodechthenta vorrei ricordare la penetrante definizione data ai composti di deiknumi da K.W. Krüger nella sua Griechische Sprachlehre für Schulen: “Hierher (i.e. al “dinamisches Medium”) gehören auch mehrere Composita von
δεικνύναι und φαίνειν, insofern eine Kraftäußerung durch That oder Intelligenz bezeichnen. Doch enthalten diese, besonders die eine Äußerung bezeichnenden, z. Th. mit den Begriff: etwas als seine Ansicht vortragen” (sechste Aufl., besorgt von W. Pökel, I/2, Leipzig–Würzburg 1891, p. 161). Apodeiknumai designa esattamente l’”espressione di una capacità” (Kraftäußerung) “attraverso l’azione” (durch That) o “attraverso l’intelligenza” (durch Intelligenz): apodechthenta (passivo del medio: cfr. Krüger nell’edizione di Erodoto ad loc.), legato ad erga, designa l’espressione di una capacità concreta attraverso l’azione (gli erga appunto); legato a gnome, invece, apodeixesthai è l’espressione di una capacità attraverso l’intelligenza, cioè la capacità di esprimere in maniera articolata (vogliamo dire “argomentata”?) il proprio pensiero. Direi dunque che, seguendo Krüger, non è centrale in apodechthenta il “senso della performance”, bensì l’“espressione di una capacità”, che è altra cosa e che sottrae la forma verbale in questione, e quella nominale di conseguenza, a un significato così puntuale e tecnico come quello espresso da “performance”. La relazione che postulo tra forma verbale media (apodeiknumai), così come definita da Krüger, e forma nominale (apodeixis) esiste anche per altri nomina actionis in –sis. Per esempio physis, nel quadro generale del greco in cui il valore di processo e di azione è centrale anche nei sostantivi, «indica semplicemente il fatto di “crescere, svilupparsi”» (A. Meillet, Lineamenti di storia della lingua greca, trad. it., Torino 1976, p. 95): il termine è legato cioè al valore del medio phyomai più che dell’attivo phyo. In Erodoto, questa relazione mi pare ben illustrata da un passo, 2.101.1-2, in cui forma nominale e verbale ricorrono entrambe come già nel proemio, seppure con una differenza significativa: in 2.101.1 apodexis designa, diversamente da quanto avviene nel proemio, una “espressione di capacità” (“durch That”), così come il successivo apodexasthai. Il passo non è di facile traduzione, perché non è semplice rendere in italiano ciò che implicano apodexis e apodexasthai, e di solito si traduce in maniera più semplice e snella per dare al testo una scorrevole leggibilità: per es. «Degli altri re invece non raccontavano alcuna opera insigne (ergon apodexin), non erano affatto illustri, tranne uno, l’ultimo di loro, Meri. Costui eresse (apodexasthai) come monumento i propilei del santuario di Efesto …» (trad. di Augusto Fraschetti). In realtà il senso è più articolato, ma anche di più faticosa lettura: «Degli altri re invece non narravano alcuna realizzazione dimostrativa di opere, dicevano che esse [le opere] non avevano nulla di notevole, eccetto quelle dell’ultimo di loro, Meri. Dicevano che questi aveva realizzato (apodexasthai) come monumento i propilei del santuario di Efesto …». Ho tradotto in questo caso apodexis come «realizzazione dimostrativa», un po’ enfaticamente, perché «realizzazione» indica il risultato di un agire concreto (“durch That”), che è “dimostrativo” di certe capacità individuali (e come tale viene apprezzato e incontra successo, come segnala il successivo lamprotetos). E Meri «era riuscito a realizzare» i propilei, nel senso che «aveva dimostrato concretamente la capacità di farli».
       Questo passo erodoteo è l’esemplificazione più limpida di quanto affermavo all’inizio di questa mia replica: all’interno di una stessa forma nominale vi sono slittamenti di significato dipendenti dal contesto. È evidente che, come il significato di apodexis del proemio è orientato e ulteriormente determinato dalla presenza di historie, così qui il significato di apodexis è orientato e determinato dalla presenza di ergon. Riassumendo: possiamo dire che in un caso, nel proemio, apodexis vale “resoconto” (espressione di capacità attraverso l’intelligenza), mentre in 2.101 è “realizzazione”, o espressione di capacità attraverso l’azione. Sia che esprima una “realizzazione”, sia che esprima un “resoconto”, apodexis afferma una “dimostrazione di capacità” fuori del comune, non normale: così come sono gloriose le imprese, “grandi e meravigliose”, “realizzate” (quindi al di là della routine quotidiana, come viene detto esplicitamente in 2.101.1), così il “resoconto” del proemio, cioè l”esposizione argomentata”, è un exploit intellettuale al di fuori del comune, come del resto si evince da 1.5.3, che va letto in stretto legame con l’esordio e su cui tornerò. Dunque, in nessuno dei casi analizzati è minimamente implicato il concetto di performance. Ma su ciò ritornerò più avanti. 
       Dunque, non vedo quali conseguenze si possano trarre a proposito di apodexis a partire da apodechthenta, dato che forma verbale e forma nominale appaiono ricoprire ambiti semantici distinti, seppure al fondo apparentati. L’elemento comune, che possiamo scorgere tra le due, appoggiandosi alla definizione di Krüger (definizione che sembra nascere anche dalla sua riflessione sull’apodechthenta del proemio erodoteo, come testimonia il suo commento a Erodoto, cfr. ad loc.), sembra essere quello di dimostrazione di ciò che un individuo sa fare, ma questo dopo aver spogliato i due termini delle determinazioni specifiche acquisite. Ecco, apodexis da qui parte, per sviluppare un significato tecnico piuttosto preciso: “dimostrare” certo, ma attraverso un’esposizione argomentata, il proprio pensiero, che nel caso erodoteo è il frutto di una ricerca personale durata nel tempo e approfondita dalla propria riflessione “individuale”.
       E vengo al problema della “performance”, su cui desidero esprimermi in maniera più netta di quanto non abbia fatto nella redazione della voce apodeixis, dato che una affermazione come quella di pag. 68, per es., è di per sé ambigua (“…credo tuttavia che il valore che qui ho indicato come preferibile si adatti bene al contesto del proemio, implicando tanto l’atto espositivo quanto quello dimostrativo”). Vorrei che fosse ancora una volta chiaro: intendo che l’aspetto “performativo” di apodexis designi una modalità di comunicazione specifica della propria Storia da parte di Erodoto, cioè l’esibizione pubblica, la recitazione, attraverso la quale Erodoto “pubblicava” di volta in volta parti più o meno estese della sua opera. Non discuto, sia chiaro, che le modalità di comunicazione fossero queste; voglio solo discutere se nel termine apodexis vi sia implicato anche un significato che rimandi a questa modalità di comunicazione di un prodotto intellettuale. Dunque, se il senso che si deve dare alla definizione di “performance” è quello or ora da me ricordato, allora dirò molto chiaramente che per me nel termine apodexis non è minimante implicato il senso di “performance”. E’ implicato viceversa quello di “esposizione” che, però, non ha alcun senso tecnico specifico rispetto alle modalità di comunicazione delle opere intellettuali nel contesto storico e culturale in cui si muove Erodoto; “esposizione” significa soltanto in questo caso l’offrire all’attenzione di un interlocutore, presente o ideale, il frutto della propria riflessione, nello stesso modo in cui diciamo “esprimere il proprio pensiero”. So bene che questa mia affermazione appare in controtendenza, ma pongo due domande. La prima, di carattere generale: che senso ha, in un proemio, evocare, sottolineare la “performance”, cioè una tecnica comunicativa diffusa e normale, come se avesse un significato concettuale o fattuale fondamentale? Questa è una evidente preoccupazione moderna proiettata dagli studiosi sulle intenzioni di Erodoto, il quale sicuramente si sforzava di chiarire ben altro del proprio lavoro personale e innovativo, prendendo le distanze dal ruolo di brillante narratore tra brillanti narratori (anche se è di tutta evidenza che in Erodoto non mancano parti da “brillante narratore”). Diciamo che l’insistenza, con cui ormai si sottolinea la performance in Erodoto, è un modo obliquo per accentuare la lontananza del padre della storia dalla storia com’è oggi. La seconda, di carattere specifico: l’aspetto della performance è forse implicato in apodeixis di Tucidide 1.97? Certamente no, e sarebbe un assoluto non senso dato il contesto. Ma sorge spontanea anche un’altra domanda: quando Erodoto in 1.5.4, parlando delle città che “…al mio tempo erano grandi…”, perché Erodoto usa l’imperfetto indicativo, dunque un tempo che non rimanda ad alcuna immediatezza recitativa e persino a nessun pubblico chiaramente individuato, se non uno futuro o ideale? Già questo non esclude ogni preoccupazione performativa che riguardasse l’hic et nunc della comunicazione? E vorrei ancora osservare: come si fa a non vedere un collegamento stretto tra la histories apodexis e ciò che viene detto in 1.5.3: “Questo dunque raccontano Persiani e Fenici. Ma io non affermerò che i fatti siano andati così o in qualche altra maniera; ma, dopo aver indicato colui che io so essere stato il primo ad aver fatto torto ai Greci, mi inoltrerò nel racconto, toccando allo stesso modo le città grandi degli uomini e le piccole”? Qui si chiude ciò che Erodoto ha avviato nel proemio e che sinteticamente possiamo così riassumere: all’inizio, affermazione di una esposizione argomentata di ciò che è il frutto della ricerca, per determinare, fra l’altro, le cause della guerra tra greci e persiani; quindi rassegna dei materiali narrativi tradizionali in circolazione che spiegavano, a modo loro, il contrasto tra greci e barbari; infine decisione di mettere da parte e ignorare queste spiegazioni, evidentemente insoddisfacenti, per definire lo spatium historicum entro cui collocare il processo storico che porterà al grande scontro greco-persiano, che solo così, a giudizio di Erodoto, può divenire comprensibile. Quando afferma perentoriamente “…dopo aver indicato colui che io so essere stato il primo ad aver fatto torto ai greci…”, Erodoto sta determinando il limite alto dello spazio storico preso in considerazione, cosa che egli fa non casualmente, ma, come indica in maniera inequivocabile quel “io so” (oida), in base a una ricerca personale che gli permette di determinare in modo originale e innovativo l’ambito cronologico in cui si deve ricercare una spiegazione soddisfacente della causa della guerra tra greci e persiani. Questa è una dimostrazione della capacità della historie erodotea: delimitare il terreno in cui si svolgerà l’“esposizione argomentata”. Aggiungo anche che si tratta a mio avviso di un’affermazione di grande coscienza di sé, ai limiti dell’orgoglio intellettuale, analoga all’affermazione tucididea di 1.23.5 (“Diedero inizio al conflitto Ateniesi e Peloponnesiaci avendo rotto la pace dei trent’anni che avevano stipulato dopo la presa dell’Eubea. Quanto al perché della rottura, ho cominciato con il riferire in primo luogo i motivi e gli elementi di contesa, affinché nessuno debba mai chiedersi da dove è sorta una guerra così grande fra i Greci.”, trad. Ugo Fantasia). Una coscienza così acuta e orgogliosa del proprio lavoro intellettuale basta di per sé a giu­stificare la visione di Jacoby di Erodoto e Tucidide come storici senza precedenti. Francamente, in questo quadro non riesco a vedere quale posto possa occupare la performance.
       E vengo a qualche considerazione finale più generale. Cominciando dall’importanza che io do al proemio erodoteo nella fiducia di poter leggere in quelle cinque parole iniziali il manifesto ideologico e metodologico di un’impresa intellettuale innovativa. Stadter mostra maggior prudenza di me: “I share Zambrini’s evaluation of Herodotus’ objective, but question whether all this can be derived from the word
ἀπόδεξις, especially in its first appearance in the proëm.”. In realtà non deduco tanta modernità e innovazione semplicemente da apodexis: la deduco da apodexis in stretto legame con historie e dalla iniziale affermazione dell’identità erodotea. Come ho ricordato nella voce apodeixis, rimandando a una letteratura significativa per comprendere i proemi delle opere storiche di questo periodo, in Erodoto il proemio non è ancora un luogo comune letterario che assolve una funzione di esordio ormai convenzionale; esso racchiude, in poche e significative parole, i fondamenti del nuovo genere letterario, che trasmette a un pubblico ancora ignaro una nuova impresa intellettuale, la narrazione storica secondo alcuni principii fondativi ben precisi. Principii che voglio ancora una volta ricordare: assunzione di responsabilità personale (la denuncia della propria identità e del luogo di origine) rispetto a una ricerca individuale (historie) che viene comunicata attraverso un’esposizione argomentata (apodexis), quindi convincente, perché innovativa (come dimostra la selezione dello spazio storico di 1.5.3). Sporadicamente, e separatamente, questi aspetti si erano già manifestati nella cultura greca (penso, per esempio, a Esiodo che presenta se stesso nella propria opera, a Ecateo di Mileto che interviene sui miti greci secondo una prospettiva razionalizzante personale, o al Pindaro della I Olimpica che contesta ciò che tradizionalmente si racconta), ma mai erano stati riuniti con tale autocoscienza in un insieme metodologico coerente, da decretarne lo statuto di fondamenti di un nuovo genere letterario, e quindi di ogni ricerca storica. Nel rapporto tra storiografia antica e moderna faccio decisamente mia un’affermazione di metodo comparativo tra musicisti del passato e moderni di un compositore e direttore d’orchestra francese contemporaneo che molto ammiro: “il ne faut pas rester au pied de la lettre, mais il faut dégager la méthode”. Restare “au pied de la lettre” significa restare agli aspetti che definirei “aneddotici” della storiografia antica, cioè a tutto ciò che è determinato dal contesto storico e culturale (cosa che evidentemente vale anche per noi); “dégager la méthode” significa mettere in evidenza ciò che è permanente in Erodoto e Tucidide, cioè ciò che è potuto sopravvivere ai cambiamenti storici e culturali. Ciò che personalmente mi interessa non è tanto la nozione di documento in Erodoto e Tucidide (questo è un aspetto sottoposto a mutamento a seconda dei diversi contesti storici e culturali; e questo vale anche per noi), quanto l’affermazione dell’esigenza di documentazione (espressa, in senso lato, proprio dalla apodexis), che rimane un fatto straordinariamente innovativo e di rottura. Con Erodoto il modo di ricordare il passato cambia radicalmente; ciò che a noi appare ormai quasi come un fatto di natura è stato in realtà un grande fatto di discontinuità culturale che, certamente favorito da un contesto storico e culturale proficuo, è stato anche il frutto di un progetto narrativo individuale straordinario che ha superato tutte le convenzioni dell’epoca, comprese quelle comunicative. Assunzione di responsabilità personale rispetto a ciò che si dice, indagine individuale preventiva, esposizione argomentata e documentata dei risultati di una tale indagine sono i principii che ancora oggi ispirano il lavoro degli storici dell’antichità, anche quello mio e di Philip Stadter, naturalmente, che, non a caso, ci sentiamo obbligati a esprimere la nostra gnome in maniera “argomentata”.